L’accertamento del dolo nel reato di calunnia si attua mediante un processo logico deduttivo che, partendo dalle modalità esecutive dell’azione, risale alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto
In tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lecce, ha assolto T.G. dal reato di calunnia, limitatamente all’episodio del (OMISSIS) perché il fatto non sussiste, confermandone la condanna alla pena di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per gli altri episodi ascritti.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di T.G., avv. Giovanni Ladisi, articolando quattro motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo deduce i vizi di violazione di legge, di mancanza della motivazione in merito alla applicabilità dell’art. 49 c.p., ed alla configurabilità del reato in relazione all’episodio del (OMISSIS), nonché di contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, ha escluso la sussistenza del reato con riferimento allo scritto del (OMISSIS) e, dall’altro, ne ha ravvisato la sussistenza con riferimento agli altri scritti, pur essendo questi tra loro sovrapponibili in quanto relativi al medesimo fatto storico e rappresentanti identiche doglianze. La Corte territoriale ha omesso, inoltre, di valutare il fine perseguito dall’imputato (la valutazione della condotta del D.C.) ed il movente della sua condotta (l’avere subito un’ingiustizia) ed avrebbe dovuto, sulla base della connotazione di tale condotta, escluderne l’inidoneità, ravvisando un reato impossibile.
2.2 Con il secondo motivo deduce vizi cumulativi di violazione dell’art. 43 c.p. e di motivazione con riferimento all’elemento psicologico del reato avendo il T. agito nell’intima convinzione di avere subito un torto a nulla rilevando la sua qualifica professionale di dottore commercialista.
2.3 Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione dell’art. 81 c.p., in relazione all’omessa rideterminazione del trattamento sanzionatorio a seguito dell’assoluzione dal reato commesso il (OMISSIS) non essendo rilevante, in difetto di impugnazione del Pubblico ministero, che il Giudice di primo grado abbia omesso di applicare l’aumento a titolo di continuazione.
2.4 Con il quarto motivo deduce i vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in merito alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo i Giudici di merito considerato le dichiarazioni di rinuncia alle azioni giudiziali sottoscritte dalla persona offesa.
DirittoCONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi, in parte, non consentiti e, in parte, generici e manifestamente infondati.
2. Ciò premesso, i primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono inammissibili perché generici, meramente reiterativi dei medesimi motivi di appello e volti a sollecitare una diversa lettura delle risultanze processuali, estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un’indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato. Non e’, quindi, necessario che vi sia l’effettivo avvio di un’indagine ma, laddove ciò non avvenga, occorre valutare se, nel caso concreto, la condotta fosse del tutto inidonea a creare il rischio di inizio di un procedimento penale come, ad esempio, allorché la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l’assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l’accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine. In tali casi l’azione si rivela sostanzialmente priva dell’attitudine a ledere gli interessi protetti, a norma dell’art. 49 c.p. (Sez. 6, n. 26177 del 17/03/2009, Vassura, Rv. 244357).
Ai fini della configurabilità del reato di calunnia non e’, dunque, necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272754; Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, Romeo, Rv. 259268).
2.1 La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali coordinate ermeneutiche e, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha chiarito la portata calunniosa degli esposti e della querela presentati dall’imputato in cui lo stesso ipotizzava diverse condotte criminose di cui si sarebbe reso responsabile il D.C., anche in concorso con il Giudice P., quali ad esempio, le false dichiarazioni a verbale rese con il “beneplacito del magistrato Pasculli”, l’abuso d’ufficio di quest’ultimo, ovvero le condotte di estorsione, atti persecutori e truffa di cui si sarebbe reso responsabile il D.C..
Esclusa, inoltre, l’inverosimiglianza o il carattere grottesco o assurdo del contenuto delle accuse, in quanto formulate in termini dettagliati e con richiami alla giurisprudenza di legittimità, la sentenza impugnata, con motivazione parimenti adeguata ed immune da vizi ha posto l’accento sulle competenze tecniche del ricorrente e sul contenuto delle accuse per ritenere sussistente la consapevolezza del T. della loro falsità e dell’innocenza della persona offesa.
Così facendo, ha fatto buon governo del principio di diritto già affermato da questa Corte, dal Collegio pienamente condiviso e ribadito, secondo cui in tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo (Sez. 6, n. 21204 del 03/04/2013, Cristofami, Rv. 255670).
E’ stato, infatti, chiarito che la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato è esclusa nel caso non ricorrente nella fattispecie in esame di cui la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020, Abbondanza, Rv. 278753).
2.2 In considerazione della pluralità di denunce presentate in tempi diversi e presso diverse Autorità, nonché del loro contenuto, è stata, inoltre, legittimamente ravvisata una pluralità di reati. Va, al riguardo, ribadito, che la proposizione di plurime denunce contenenti false accuse depositate presso più autorità ed in luoghi distinti dà luogo ad una pluralità di reati, dovendosi escludere l’identità del fatto nel caso in cui la reiterazione della condotta avvenga con modalità spazio-temporali diverse (Sez. 6, n. 13416 del 08/03/2016, Pasquinelli, Rv. 267269).
2.3 Va, inoltre, aggiunto che, quanto allo scritto del 19 settembre, non sussiste un interesse concreto del ricorrente a dolersi della sua omessa valutazione posto che, pur essendo stata riconosciuta la continuazione tra i diversi episodi di calunnia, in concreto è stata applicata solo la pena base nel minimo edittale previsto dall’art. 368 c.p., cosicché, in caso di accoglimento della doglianza, potrebbero conseguire effetti in malam partem per il ricorrente con l’eventuale applicazione dell’aumento ai sensi dell’art. 81 c.p. per tale episodio criminoso.
3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. La Corte territoriale ha, infatti, correttamente giustificato la mancata riduzione del trattamento sanzionatorio in considerazione del fatto che il Giudice di primo grado aveva calcolato la sola pena base per il reato di calunnia, nel minimo edittale, senza operare alcun aumento a titolo di continuazione.
4. Anche il quarto motivo non supera il vaglio di ammissibilità in quanto aspecifico e privo di adeguato confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata che ha escluso la sussistenza di elementi di segno positivo, ponendo, di contro, l’accento sull’assenza di alcuna forma di resipiscenza da parte del ricorrente.
Va, al riguardo, ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis c.p., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
Le circostanze attenuanti generiche hanno, infatti, lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (cfr. Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640).
5. L’inammissibilità dei motivi di ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).
PQMP.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
La norma, ormai ventennale, ha rivoluzionato il panorama normativo italiano perché ha dei tratti di interdisciplinarietà che permettono la collaborazione di diverse tipologie di professionisti per la sua corretta applicazione, con il risultato di avere una visione d’insieme della società e della realtà in cui la stessa opera.
Mira alla tutela dell’Azienda dai comportamenti non corretti di coloro che al suo interno agiscono per profitti personali.
Grazie all’adozione di un Modello 231, l’Azienda al suo interno decide di seguire direttive di contenuto etico e morale per poter operare nella trasparenza e nella legalità.
D’altronde anche l’art. 2086, comma II, c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 14/2019) impone a tutte le società di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.
La creazione di un Sistema di Gestione è un insieme di regole, procedure e modalità: è strettamente legato alle caratteristiche dell’Impresa, all’attività svolta, ai processi produttivi che vengono utilizzati, al contesto in cui opera e agli interlocutori con cui si interfaccia.
Prevede la preventiva individuazione delle aree di rischio e la creazione di principi e procedure di controllo che possano tutelare l’Impresa dalla commissione dei reati.
Comprende l’adozione di un Codice Etico, a salvaguardia dei comportamenti da tenere, e di un conseguente sistema disciplinare e sanzionatorio.
Ogni Ente o Società che voglia garantire una corretta gestione aziendale, deve dotarsi di un proprio Modello ex D.Lgs n. 231/01 che comprenda una corretta mappatura delle aree dell’attività aziendale sensibili al rischio di commissione dei reati.
È necessaria una capillare attività di intervista al fine di analizzare i processi aziendali più a rischio e di conseguenza, adeguare ed aggiornare al meglio il Modello sulla realtà aziendale.
L’applicazione di tale Modello deve essere controllata mediante un Organismo di Vigilanza, autonomo ed indipendente, che possa vigilare sulla sua adeguatezza e sanzionare le violazioni e gli scostamenti dallo stesso.
Il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo
Il secondo strumento esimente previsto dal D.Lgs. 231/2001, è la dotazione da parte dell’Ente del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.
Potremmo definirlo come il “codice” di cui l’Ente si dota per evitare il rischio-reato, ovvero per escludere che dalle condotte poste in essere da apicali o subordinati, nell’interesse o a vantaggio dell’Ente, possa insorgere anche una responsabilità dell’Ente medesimo, con gravissime conseguenze in termini di sanzioni e misure interdittive, anche cautelari.
Il MOGC, che verrà redatto dallo studio dopo una scrupolosa analisi di risk assesment, sarà oggetto di costanti verifiche da parte dell’Organismo di Vigilanza, sia in termini di efficacia del Modello, sia in termini di revisione in caso di mutamento del business aziendale o di intervento legislativo che incida sul catalogo dei reati presupposto.
Le diverse aree di provenienza delle due Professioniste consentiranno di mappare ogni attività o settore dell’organizzazione aziendale, individuando una matrice dei rischi che costantemente vagliata con specifici audit dell’OdV, consentirà all’Ente di andare esente da ogni censura.
Perchè prevedere all’interno dell’Azienda la nomina di un OdV?
L’Azienda, con le previsioni della D.Lgs. n. 231/2001, viene attratta nella responsabilità per i reati commessi dalle persone che operano al suo interno a diverso titolo, se si dimostri che il reato è stato commesso per procurare un vantaggio all’Azienda stessa. L’Azienda, quindi, potrebbe essere soggetta a diverse sanzioni, tra le quali anche alcune di tipo interdittivo che possono portare alla sospensione dell’attività aziendale. Non solo. Possono anche essere revocati benefici, possono essere confiscati beni aziendali, o si può incorrere in pesanti sanzioni pecuniarie.
Alcune di tali sanzioni possono essere applicabili anche in una fase cautelare e portano all’arresto della continuità aziendale. Con un adeguato Modello 231, generalmente, l’Azienda è salva dalle sanzioni che intervengono in fase cautelare.
Sono pertanto necessarie le seguenti fasi:
Adozione e progettazione del Modello
Attuazione e messa in opera dello stesso
Controllo del Modello ad opera dell’ODV.
Possiamo intervenire nella Vostra Azienda sia nella fase di adozione e progettazione del Modello, nella attuazione e messa in opera dello stesso e nel controllo come come Organismo di Vigilanza.
Cosa è l’Organismo di Vigilanza
È la componente centrale del Modello organizzativo 231.
Può essere monocratico e interno, tuttavia la collegialità ed il fatto che i suoi componenti siano esterni all’Azienda darà maggiori garanzie sulle caratteristiche richieste dalla Legge: l’autonomia, l’indipendenza, la professionalità e la continuità di azione.
l’Organismo di Vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, vigila sul funzionamento e l’osservanza del Modello di Gestione e ne cura l’aggiornamento. È una unità organizzativa dell’impresa a servizio dell’organo amministrativo.
L’Organismo di Vigilanza non ha un potere di gestione dell’Impresa, ma di mero controllo interno.
L’OdV deve garantire
Indipendenza
Autonomia
Continuità di azione
Professionalità
Onorabilità
L’OdV può essere un organo esterno e collegiale, composto da tre membri.
È il nostro obiettivo mettere le nostre professionalità a servizio delle Aziende interessate e capire le reali esigenze per poter selezionare il terzo membro tra diversi professionisti con cui collaboriamo da anni.
Cosa fa l’Odv
Propone gli adattamenti e gli aggiornamenti necessari al Modello a seguito di mutamenti interni o esterni, di normative o dell’organizzazione societaria al fine di garantirne la massima efficacia per la corretta applicazione.
Vigila e controlla l’efficace attuazione del Modello stesso, tramite flussi informativi costanti e tracciati.
Gestisce e monitora la formazione dei destinatari per la comprensione e la corretta applicazione del Modello.
Garantisce una continuità di azione, per avere la massima efficacia sul controllo e la gestione del Modello.
Verifica che il Modello adottato dall’impresa sia efficiente ed efficace per la prevenzione dei reati previsti.
Rileva gli eventuali scostamenti dal Modello grazie all’analisi costante dei flussi informativi.
Gestisce le segnalazioni che arrivano dall’Azienda.
Tramite incontri verbalizzati tiene traccia del suo costante operato e predispone una relazione periodica per l’organo dirigente e per il Collegio Sindacale sull’attività di verifica e controllo.
L’indipendenza viene garantita rispetto a tutti gli organi aziendali, deve essere assicurato libero accesso a tutte le funzioni della società per gestire al meglio il corretto funzionamento del Modello.
L’OdV può avvalersi di tutti i consulenti esterni che ritenga possano essere utili alla realtà aziendale per l’adeguamento del Modello.
Perché scegliere lo Studio Penale Scialla per la redazione e gestione di un modello 231/2021 o lo svolgimento di incarico di ODV
Il D.Lgs. 231/2001 richiede che l’Organismo di Vigilanza sia formato da professionisti, scelti dai vertici aziendali, dopo un’attenta analisi delle loro capacità professionali ed esperienza sul campo.
Garantiamo un aggiornamento costante con master di specializzazione, nonché con i rispettivi percorsi professionali che, integrandosi vicendevolmente, consentono di offrire una consulenza che costituisca un valore aggiunto per l’Ente.
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Confisca conto corrente Sezioni Unite di Cassazione
Cassazione Penale, Sezioni Unite, 18 novembre 2021 (ud. 27 maggio 2021), n. 42415 Presidente Cassano, Relatore Mogini
Con ordinanza n. 7021/2021 era stata rimessa alle Sezioni unite la seguente questione di diritto: «se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito».
Con sentenza numero 42415, depositata il 18 novembre 2011, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l‘ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione».
La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite è la seguente: “se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da titolo lecito”.
L’interesse statuale va bilanciato con quello dei minori alla tutela del nucleo familiare, saldamente radicato sul territorio italiano (Trib. Roma decreto 3 agosto 2021)
Il Tribunale di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione ha accolto lo scorso 3 agosto la domanda di sospensione cautelare di un provvedimento di espulsione dal territorio italiano emesso dal Prefetto di Roma nei confronti di un cittadino albanese (testo in calce).
Il provvedimento è di interesse in quanto il Giudice ha dato rilievo all’esistenza di forti legami familiari sul territorio italiano del ricorrente (la moglie e due figli minori) e ha sospeso, inaudita altera parte, il provvedimento proprio in quanto l’evidenza di tali legami implica “necessariamente la sussistenza del rischio di un danno grave ed irreparabile in connessione ad un eventuale allontanamento del ricorrente dal territorio, senza contare che in presenza di figli minori l’interesse statuale all’allontanamento dovrà comunque essere bilanciato con l’interesse superiore di questi ultimi, trattandosi di provvedimento destinato inevitabilmente ad incidere sull’unità familiare (cfr anche art. 28 comma 3 d.lvo 286/98)”.
Il ricorrente è arrivato all’età di 20 anni in Italia, nel 2001, con regolare permesso di soggiorno. L’anno successivo ha commesso un reato per il quale è stato successivamente condannato e tratto in arresto nel 2012. Tra la data della commissione del reato e l’emissione del provvedimento di espulsione sono trascorsi 19 anni durante i quali l’interessato, oltre ad aver scontato per intero la pena detentiva inflitta, si è pienamente integrato sul territorio italiano dove ha messo su famiglia e dove lavora sin dal 2014 come cuoco, dapprima presso la mensa del carcere e poi presso un ristorante nel centro di Roma, grazie all’autorizzazione al lavoro esterno al carcere (art. 21 Ordinamento penitenziario), ottenuta proprio per la sua buona condotta durante l’espiazione della pena.
Prima della detenzione il ricorrente aveva contratto matrimonio con una propria connazionale e dalla loro unione sono nati due figli con i quali il ricorrente ha mantenuto un rapporto costante anche durante la detenzione.
La moglie e i figli sono titolari di regolare permesso di soggiorno e sono perfettamente integrati sul territorio italiano dove i ragazzi frequentano la scuola ed il gruppo scout del paese dove hanno stabilito la residenza.
Il ricorrente ha invece chiesto, poco prima della scarcerazione, un’autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano in forza dell’art. 31 d.lgs. 286/98, a mente del quale il Tribunale per i minorenni può autorizzare la permanenza sul territorio nazionale del genitore per salvaguardare il superiore interesse dei figli minori.
Il permesso di soggiorno per assistenza minori
L’art. 31, co. 3, del d.lgs 286/98 prevede infatti che il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi appunto allo sviluppo psicofisico dei figli stranieri che si trovano nel territorio italiano e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del TU in materia di immigrazione.
L’art. 31 TU immigrazione introduce quindi un’eccezione alla disciplina sul controllo delle frontiere laddove ricorrano le condizioni per salvaguardare il preminente interesse del minore nei casi in cui l’allontanamento di un suo familiare potrebbe appunto pregiudicarne l’integrità fisico-psichica del minore stesso.
Il noto contrasto giurisprudenziale relativo all’interpretazione dell’art. 31 comma 3 d.lgs 286/98 si è risolto con le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 25 ottobre 2010 n. 21799 e del 6 luglio 2010 n. 21803 che hanno sancito il chiaro principio di diritto secondo cui: “La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del d.lgs 286/98 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non postula necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente connesse alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età e delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Trattasi di situazioni di per sé non di lunga o indeterminabile durata, e non aventi tendenziale stabilità, che pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si concretano in eventi traumatici e non prevedibili nella vita del fanciullo che necessariamente trascendono il normale e comprensibile disagio del rimpatrio suo o del suo familiare”.
Le dimissioni dal carcere e l’espulsione emessa dal Prefetto
Al momento delle dimissioni dal carcere, nonostante la pendenza del procedimento volto al rilascio del permesso di soggiorno per assistenza minori, il Prefetto di Roma ha emesso un provvedimento di espulsione senza effettuare il bilanciamento tra l’interesse statuale all’allontanamento e l’interesse superiore dei figli minori alla permanenza sul territorio italiano del genitore, trattandosi di provvedimento destinato inevitabilmente ad incidere sull’unità familiare (cfr anche art. 28 comma 3 d.lvo 286/98)
Sul punto è degno di nota l’insegnamento da ultimo impartito dalla Cassazione, Sezioni Unite civili, nella sentenza n. 15750 del 12 giugno 2019.
In tale occasione le sezioni unite hanno espresso la seguente massima:
“In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell’art. 31, comma 3, t.u. immigrazione […], il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto”.
Ad avviso delle Sezioni Unite, il legislatore, con la previsione del permesso rilasciato ai sensi dell’art. 31 d.lvo 286/98, ha voluto perseguire l’interesse del minore, assicurandogli il godimento pieno del suo diritto fondamentale all’effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, pur nel rispetto dell’esigenza di salvaguardare l’interesse dello Stato ospitante alla tutela dell’ordine pubblico. A tal riguardo, l’art. 31, comma 3, sancisce che, in presenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, è previsto il rilascio dell’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso del familiare come possibile “anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico”.
Tale deroga alle disposizioni che prevedono cause ostative all’ingresso o al soggiorno conseguenti a condanne penali dello straniero, comporta che l’autorizzazione ai sensi dell’art. 31, comma 3 TUI, non può essere negata automaticamente, in base alla condanna per determinati reati, ma deve di volta in volta essere fatto un bilanciamento degli interessi in gioco, essendo vietato ogni automatismo.
Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Roma è di tutta evidenza la mancanza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale e quindi l’interesse dello Stato ad allontanare l’interessato deve soccombere al superiore interesse dei minori a potersi vedere garantito il diritto all’unità familiare.
Dunque, facendo tesoro dell’insegnamento delle Sezioni Unite, nel caso di specie deve ritenersi sussistente la necessità e l’opportunità della permanenza di entrambi i genitori sul territorio italiano per favorire lo sviluppo psico fisico dei minori pienamente integrati sul territorio italiano, stante anche l’assenza dell’attualità della pericolosità del ricorrente in quanto il reato (l’unico commesso dall’interessato) è risalente nel tempo e il ricorrente ha intrapreso con successo un percorso di reinserimento nella società libera.
Ed infatti, ad avviso del Giudice procedente, nel succinto decreto in commento, in assenza di attualità della pericolosità non vi sono ragioni per poter ritenere preminente l’interesse dello Stato all’ordine pubblico e dovrà attendersi l’esito del procedimento pendente innanzi al Tribunale per i minorenni che deciderà se concedere o meno un’autorizzazione al ricorrente di poter restare in Italia, anche per poter continuare a svolgere l’attività lavorativa in essere che rappresenta l’unica fonte di reddito per l’intero nucleo familiare.
Il trattenimento presso il Centro per i rimpatri e la convalida del trattenimento
In conseguenza del provvedimento di espulsione è stato emesso un ordine del Questore di trattenimento presso il Centro di permanenza temporanea di Roma Ponte Galeria per l’indisponibilità di un vettore che consentisse il rimpatrio immediato dell’interessato.
Illegittimamente la convalida del trattenimento è stata effettuata dal Giudice di Pace e non dal Tribunale ordinario che è invece competente per le convalide dei trattenimenti allorquando sia pendente un giudizio in materia di unità familiare (art. 30, co. 2, TUI) ovvero – come nel caso di specie – una richiesta di autorizzazione alla permanenza del familiare di minore straniero (art. 31, co. 3, TUI).
Tale competenza esclusiva e derogatoria alla normativa relativa alla convalida del trattenimento dello straniero irregolare è prevista dall’art. 1, co. 2 bis, D.L. 241/2004, introdotto in sede di conversione con L. 271/2004, ed è stata da ultimo ribadita dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16075 del 2019 e dai giudici di merito (in ultimo, Tribunale di Genova, ordinanza del 29.11.2020 e Tribunale di Roma, ordinanza 7546/2018).
Il ricorso d’urgenza al Tribunale ordinario e la sospensione dell’espulsione
Nonostante l’errore del Giudice di Pace che non ha accolto la questione preliminare di incompetenza sollevata dalla difesa durante l’udienza di convalida (celebratasi da remoto), il ricorrente è stato poi liberato dopo che è stata accolta la domanda cautelare di sospensione dell’atto presupposto e giustificativo del trattenimento: il provvedimento di espulsione.
Il Tribunale ordinario di Roma ha dapprima “condiviso la tesi del ricorrente in punto di competenza, giacchè ai sensi dell’art. 1, co. 2 bis, D.L: 241/2004, introdotto in sede di conversione con L. 271/2004, è competente il tribunale ordinario ( e non il giudice di pace) a conoscere delle controversie relative all’ espulsione amministrativa qualora sia pendente un giudizio in materia di unità familiare (art. 30, co. 2, TU) ovvero una richiesta di autorizzazione alla permanenza del familiare di minore straniero (art. 31, co. 3, TU), come documentato nel caso di specie”; per poi entrare nel merito della vicenda e, come osservato, ha sospeso il provvedimento per “la sussistenza del rischio di un danno grave ed irreparabile in connessione ad un eventuale allontanamento del ricorrente dal territorio, senza contare che in presenza di figli minori l’interesse statuale all’allontanamento dovrà comunque essere bilanciato con l’interesse superiore di questi ultimi, trattandosi di provvedimento destinato inevitabilmente ad incidere sull’unità familiare (cfr anche art. 28 comma 3 d.lvo 286/98)
Conclusioni
Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Roma è di sicuro interesse per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo denota un’insufficiente attenzione del giudice di pace a quelli che sono ormai principi consolidati nel nostro ordinamento relativi alla competenza del tribunale ordinario (e non già del giudice di pace) in tutti i procedimenti di limitazione della libertà personale comunque afferenti a soggetti che hanno pendenti un “giudizio in materia di unità familiare (art. 30, co. 2, TU) ovvero una richiesta di autorizzazione alla permanenza del familiare di minore straniero (art. 31, co. 3, TU).”
Nonostante il chiaro disposto normativo della legge 271/2004 e la costante giurisprudenza, ciò non solo ha comportato l’lllegittimità del trattenimento protrattosi per complessivi 10 giorni (con possibile danno erariale in caso di richiesta di risarcimento del danno) ma corrobora la tesi della dottrina secondo cui è opinabile l’attribuzione ad un giudice non togato di materie così delicate e che afferiscono alla limitazione della libertà personale, di rilievo costituzionale (art. 13 Costituzione).
Su un piano generale, la vicenda sottesa alla decisione in commento palesa l’inattuazione del principio sancito dall’art. 27, comma 3 della Costituzione secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Ed infatti l’espulsione dello straniero a fine pena è l’epilogo scontato nella stragrande maggioranza dei casi; un automatismo che di fatto stride con il principio di proporzionalità almeno quando – come nel caso di specie – il reato è risalente nel tempo, non vi è recidiva, il condannato ha dato prova durante l’esecuzione della pena di essersi ravveduto e vi sono altri interessi (ad es. il superiore interesse dei minori) che devono prevalere in assenza dell’attualità della pericolosità dell’interessato.
D’altronde la Corte europea dei Diritti dell’Uomo in tema d’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Edu ha chiarito che, nonostante la Convenzione non garantisca allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, in ogni caso l’espulsione, pur costituendo un’interferenza nella vita privata o familiare, può ritenersi giustificata ai sensi del par. 2 dell’art. 8, purché avvenuta in conformità della legge e nel perseguimento del legittimo scopo di prevenire disordine e reati, individuando una serie di elementi la cui valutazione consente di stabilire, nel caso concreto, se la misura adottata possa considerarsi ragionevole e proporzionata: a) la natura e la gravità del reato commesso dal richiedente, b) la durata del soggiorno nel Paese da cui dev’essere espulso, c) il tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta tenuta dal richiedente, d) la nazionalità delle persone interessate, e) la situazione familiare del richiedente, ivi compresa la durata del matrimonio ed altri fattori sintomatici dell’effettività della vita di coppia, f) la conoscenza del reato da parte del coniuge al tempo dell’instaurazione del vincolo familiare, g) l’esistenza di figli e la loro età, h) le difficoltà che il coniuge potrebbe incontrare nel Paese verso il quale il richiedente dev’essere espulso, i) l’interesse ed il benessere dei figli, in particolare le difficoltà che ciascuno di essi potrebbe incontrare nel Paese verso il quale il richiedente dev’essere espulso, l) la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospite e con quello di destinazione (cfr. ex plurimis, Corte EDU, 23/10/2018, Assem Hassan Ali c. Danimarca; 1/12/2016, Salem c. Danimarca; 3/07/2012, Samsonnikov c. Estonia; 7/04/2009, Cherif e altri c. Italia).
Ne consegue che il principio di proporzionalità e ragionevolezza della espulsione, nei termini delineati dalla Corte Edu, ed il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 comma 3 della Costituzione devono essere sempre considerati quali parametri da utilizzare nelle decisioni relative alle espulsioni degli stranieri con precedenti penali ed ogni automatismo espulsivo fondato esclusivamente sull’esistenza di precedenti penali deve ritenersi illegittimo.
La Corte dichiara inammissibili la maggior parte dei ricorsi senza esaminarli nel merito, a causa del mancato rispetto dei requisiti previsti a pena di inammissibilità. Le decisioni di inammissibilità sono definitive e non suscettibili di impugnazione.
Affinché il Suo ricorso non venga dichiarato inammissibile è quindi di fondamentale importanza che Lei rispetti tutti i requisiti necessari. Prima di introdurre il ricorso, La invitiamo a consultare il sito internet della Corte ed in particolare la Guida sull’ammissibilità, avvalendosi della lista di controllo, onde assicurarsi che il ricorso presenti tutti i requisiti necessari per superare il vaglio di ammissibilità.
PRIMA DI INVIARE IL RICORSO ALLA CORTE
Il formulario di ricorso è disponibile sul sito internet della Corte. La invitiamo a scaricarlo, compilarlo in ogni sua parte, nessuna esclusa, stamparlo e poi inviarlo alla Corte, allegando solo copie (non originali) dei documenti relativi che non le verranno poi più restituite alla fine del procedimento. Non chieda alla Corte di inviarLe il formulario in formato cartaceo ma lo stampi e si assicuri che arrivi in tempo utile alla fine di evitare che il ricorso venga dichiarato tardivo (consulti a tal proposito la Guida pratica per la presentazione di un ricorso alla Corte e le istruzioni per la compilazione del formulario, disponibili sul sito internet della Corte).
Un ricorso incompleto rischia di non essere esaminato dalla Corte. È quindi essenziale che Lei compili scrupolosamente in ogni sua parte il formulario di ricorso. In caso di omessa o incompleta compilazione anche di una singola parte del formulario, o di mancato invio di copia dei documenti relativi, la Corte potrà rifiutare la registrazione del ricorso senza procedere al suo esame.
Il mio ricorso alla CEDU: Come presentarlo e in che modo lo stesso viene gestito
È possibile rivolgersi alla Corte utilizzando una delle due lingue ufficiali del Consiglio d’Europa: francese o inglese. Vi è tuttavia anche la possibilità di utilizzare una delle lingue ufficiali di un qualsiasi Stato membro del Consiglio d’Europa.Durante la fase iniziale del procedimento, non è necessaria l’assistenza di un avvocato. Tuttavia qualora Lei desideri essere rappresentato, dovrà inviare alla Corte una procura da Lei sottoscritta in cui nomina il Suo legale di fiducia.Il formulario di ricorso compilato in ogni sua parte dovrà essere inviato, unitamente ai documenti relativi, al seguente indirizzo:European Court of Human Rights Council of Europe 67075 Strasbourg cedex FranceIl ricorso deve essere inviato solo per posta ed è consigliabile l’invio per posta raccomandata con avviso di ricevimento. La Corte deve essere adita entro il termine stabilito dalla Convenzione; fa fede la data del timbro postale.Pertanto il formulario di ricorso dovrà essere spedito il più presto possibile, una volta concluso il procedimento nazionale mediante una decisione definitiva.DOPO AVER INVIATO IL RICORSO ALLA CORTEIl ricorso arriva all’Ufficio Centrale della Corte che riceve mediamente circa 1500 lettere al giorno. Considerato l’elevato numero di corrispondenza, la Corte non è in condizione di accusarne immediatamente ricevuta.Non chiami la Corte per avere informazioni sull’avvenuta ricezione del ricorso. Sarà la Corte stessa a contattarLa se ha necessità di ulteriori informazioni.L’Ufficio Centrale verifica la corrispondenza in arrivo e poi trasmette i ricorsi alla divisione giuridica competente per lo Stato contro il quale è stato presentato il singolo ricorso. Ad esempio un ricorso contro la Germania verrà trasmesso alla divisione giuridica che tratta i casi tedeschi, composta da persone che possegono le competenze linguistiche e giuridiche del Paese.Il ricorso si vede attribuito un numero e viene esaminato da un giurista. Ciò non significa che esso sia stato accolto, ma solo che si è proceduto alla sua registrazione. Nel caso in cui Lei venga contattato dalla Corte, dovrà rispondere entro il termine stabilito. In caso contrario il Suo ricorso verrà rigettato o distrutto.Una volta in possesso di tutte le informazioni necessarie per il corretto esame del ricorso, la Corte lo assegna ad una delle sue formazioni giudiziarie.Nel corso del procedimento, anche se Le sembra che sia già trascorso molto tempo, attenda di essere contattato dalla Corte. Considerato l’elevato numero di ricorsi presentati ogni anno (più di 50.000) ed il numero di ricorsi pendenti, la Corte non può accusare ricevuta delle lettere o dei documenti che riceve ovvero indicare la data approssimativa di trattazione del ricorso.La procedura dinanzi alla Corte è scritta. Pertanto tutte le informazioni che Lei desidera portare a conoscenza della Corte devono essere comunicate per iscritto.
L’ESAME DEL RICORSO1. Formazioni GiuDiziarieA seconda dei casi, i ricorsi vengono assegnati ad una delle formazioni giudiziarie della Corte: Giudice unico, Comitato o Camera.̈ Se il Suo ricorso è chiaramente inammissibile, perché non rispetta i requisiti necessari per l’introduzione di un ricorso alla Corte, esso viene assegnato ad un Giudice unico. La decisione di inammissibilità è definitiva e Lei ne sarà informato. Le decisioni di inammissibilità sono definitive e non impugnabili e non è possibile richiedere informazioni ulteriori. Il caso viene definitivamente archiviato e il relativo fascicolo successivamente distrutto.̈ Se si tratta di un caso ripetitivo, perché verte su questioni sulle quali la Corte si è già pronunciata in casi simili, il ricorso viene assegnato ad un Comitato di 3 giudici. In tale evenienza, Le verrà inviata una lettera contenente informazioni sulla procedura. Anche in questo caso, la Corte La contatterà se necessario.̈ Se non si tratta di un caso ripetitivo, il ricorso viene assegnato ad una Camera, composta da 7 giudici. Tale organo potrà emettere una decisione definitiva di inammissibilità o, se lo ritiene ammissibile, esaminare il ricorso nel merito. Preliminarmente il ricorso viene comunicato al Governo dello Stato interessato, per informarlo della sua esistenza e consentirgli di presentare eventuali osservazioni in merito alle questioni sollevate. Le osservazioni del Governo Le verranno trasmesse e Lei avrà la possibilità di replicare. Sebbene non sia necessario farsi assistere da un avvocato fin dall’inizio del procedimento, in questa fase la Corte La inviterà a nominare un avvocato di fiducia. Anche in questo caso, sarà la Corte a contattarLa.̈ La informiamo inoltre che la Grande Camera, composta da 17 giudici, non viene mai investita direttamente di un ricorso ma solo per rimessione o rinvio, in una fase avanzata del procedimento. Se il ricorso viene assegnato ad una Camera, questa può rimettere la competenza a favore della Grande Camera, quando si tratta di risolvere una questione rilevante concernente l’interpretazione della Convenzione o quando vi è il rischio di un conflitto di giurisprudenza. In casi eccezionali, la Grande Camera può altresì essere investita di un ricorso per rinvio, a richiesta di una delle Parti, entro 3 mesi dalla pronuncia della sentenza di una Camera.2. Durata Del proceDimentoÈ impossibile indicare la durata media di trattamento dei ricorsi da parte della Corte. Ciò dipende dal tipo di caso, dalla formazione giudiziaria alla quale viene assegnato, dalla solerzia con cui le parti forniscono alla Corte le informazioni richieste e da molteplici altri fattori. La Corte esamina i ricorsi in base ad un ordine di trattazione che tiene conto dell’importanza e dell’urgenza delle questioni sollevate. Pertanto, i casi più gravi o quelli che mettono in luce problemi su larga scala, vengono trattati con maggior rapidità, il che spiega perché può accadere che un ricorso sia ancora pendente mentre un altro, presentato dopo, sia già stato deciso.3. uDienzeLe udienze dinanzi alla Camera o alla Grande Camera si svolgono in un numero limitato di casi (circa 30 l’anno). Lei verrà informato nel caso in cui, in relazione al ricorso da Lei presentato, la Corte decida di tenere un’udienza. Tutte le udienze sono registrate ed è possibile prenderne visione sul sito internet della Corte.
la corte può Darmi un consiGlio leGale?Non è compito della Corte dare consigli di natura legale sulle possibilità di ricorso e sulle procedure previste in ogni singolo Paese. Per quanto riguarda invece la procedura dinanzi alla Corte, è possibile trovare tutte le informazioni necessarie sul sito internet. La Corte non è in grado di stabilire a priori quante possibilità di successo abbia il Suo ricorso. Dovrà quindi necessariamente attendere che venga emessa una decisione o pronunciata una sentenza.
la corte ha la possibilità Di intervenire presso lo stato convenuto?No. La Corte non interverrà a Suo favore presso le autorità dello Stato contro il quale è stato presentato il ricorso. Tuttavia, in casi eccezionali, la Corte può richiedere a uno Stato di adottare determinate misure o di astenersi dal compiere determinate azioni, in attesa dell’esame del ricorso (si tratta in genere di casi in cui vi è il rischio concreto che il ricorrente possa subire danni gravi alla persona).
la corte si È Già occupata Di casi simili al mio?Le sentenze della Corte vengono pubblicate sul sito internet. Lei può quindi effettuare una ricerca e verificare se la Corte ha già esaminato casi simili al Suo.
se il mio ricorso viene Dichiarato inammissibile che possibilità ho Di oppormi a tale Decisione?Le decisioni di inammissibilità sono definitive e non sono suscettibili di impugnazione. Pertanto è estremamente importante che ogni ricorrente, prima di rivolgersi alla Corte, si assicuri che il Suo ricorso soddisfi tutti i requisiti di ammissibilità.
come posso Fare per avere inFormazioni sul mio ricorso?La Corte non è in grado di rispondere alle molteplici richieste di informazione sulla fase in cui si trovano i ricorsi pendenti. Considerato che la procedura dinanzi alla Corte è scritta, Lei verrà contattato per posta nel caso in cui siano necessarie ulteriori informazioni da parte Sua o in occasione di una specifica fase del procedimento. Talune informazioni sono comunque reperibili sul sito internet della Corte (comunicazioni, domande alle parti, decisioni sull’ammissibilità, ecc