La demolizione nell’abuso edilizio NON estingue SEMPRE il reato

La demolizione nell’abuso edilizio NON estingue SEMPRE il reato

Beni Ambientali.Spontanea rimessione in pristino

 DettagliCategoria principale: Beni AmbientaliCategoria: Cassazione PenalePubblicato: 19 Ottobre 2020Visite: 748

Cass. Sez. III n.26325 del 21 settembre 2020 (UP 3 lug 2020)
Pres.Andreazza Est. Semeraro Ric. Stallone
Beni Ambientali.Spontanea rimessione in pristino

La speciale causa estintiva, prevista dall’art. 181 comma 1-quinquies d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 opera a condizione che l’autore dell’abuso si attivi spontaneamente alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio. L’applicabilità di tale causa estintiva è subordinata al fatto che la rimessione in pristino da parte dell’autore dell’abuso sia spontanea e non eseguita su impulso dell’autorità amministrativa.  L’estinzione si ha, pertanto, solo quando non sia stata ancora disposta d’ufficio dalla P.A.; è necessario cioè che l’autore dell’abuso si attivi spontaneamente alla rimessione in pristino e, quindi, prima che la P.A. la disponga, perché l’effetto premiale può realizzarsi solo in presenza di una condotta che anticipi l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 26 giugno 2019 la Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna inflitta a Gaetano Stallone ed Agata Indelicato dal Tribunale di Marsala alla pena di un mese di arresto ed € 57.000 di ammenda per i reati di cui agli artt. 95 d.P.R. 380/2001 (capo B), 181 comma 1-bis d.lgs. 42/2004 (capo C), 734 cod. pen. (capo D) per la costruzione di una sopraelevazione di 59 mq. e di una tettoria, alle spalle della sopraelevazione, di circa mq. 18, in zona sismica, senza il necessario preavviso e senza la necessaria autorizzazione, in zona vincolata senza autorizzazione paesistica, in zona di notevole interesse pubblico alterando le bellezze naturali. In Campobello di Mazara fino al 18 gennaio 2016.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione; la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che i ricorrenti abbiano demolito le opere per le quali hanno ottenuto la concessione in sanatoria del 17 marzo 2017; con tale concessione sarebbero stati sanati gli abusi commessi dal precedente proprietario dell’immobile e parte degli illeciti commessi dai ricorrenti, tra cui una scala in cemento armato. La corte territoriale avrebbe ritenuto erroneamente che i motivi di appello siano contraddittori. Vi sarebbe una evidente illogicità o contraddittorietà della motivazione della sentenza.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione con riferimento al capo c), ex art. 181 comma 1-bis d.lgs. 42/2004. Sarebbe stata omessa la risposta al primo motivo di appello su tale capo.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione al reato ex art. 734 cod. pen. 
La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che la concessione in sanatoria non abbia estinto il reato ex art. 734 cod. pen., in contrasto con quanto previsto dall’art. 39 comma 7 della legge 724/1994.
Mancherebbe poi la motivazione con riferimento al quarto motivo di appello relativo alla mancanza di motivazione della sentenza di primo grado sulla sussistenza di una permanente menomazione della bellezza del luogo e sulla concreta idoneità della condotta di deturpamento.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 181 comma 1- quinquies d.lgs. 42/2004. La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che, per aversi l’estinzione del reato, la demolizione avrebbe dovuto precedere la sentenza di condanna e l’emissione del provvedimento di demolizione da parte dell’autorità amministrativa. Invece, l’art. 181 comma 1-quinquies consentirebbe l’effetto estintivo, in caso di demolizione prima della sentenza di condanna, anche nel caso di demolizione successiva all’ingiunzione amministrativa.
La demolizione sarebbe avvenuta prima della citazione a giudizio e ciò emergerebbe dalla richiesta di dissequestro dell’immobile, presentata alla Procura della Repubblica di Marsala, per procedere alla demolizione delle opere.
2.5. Con il quinto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sul rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.; il rigetto sarebbe fondato sull’abitualità delle condotte.
I ricorrenti avrebbero invece dimostrato che le opere abusive realizzate al primo piano furono realizzate dal precedente proprietario (Antonino Bono) che il 30 giugno 1986 presentò l’istanza per la sanatoria.
Nessun procedimento per illeciti edilizi sarebbe sorto a carico degli imputati.
Inoltre, l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. deriverebbe dalla scarsa consistenza delle opere abusive con minima lesione dell’interesse protetto, anche a seguito della demolizione delle opere.
2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione all’art. 95 d.P.R. 380/2001; la Corte di appello ha ritenuto che il reato ex art. 95 non possa essere dichiarato estinto poiché le opere abusive non sarebbero state sanate ma demolite. Invece, parte delle opere abusive sarebbero state sanate dal permesso di costruire n. 27 del 17 marzo 2017.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nella sentenza non vi è alcuna contraddittorietà: la corte territoriale ha chiaramente distinto le opere oggetto della concessione in sanatoria del marzo del 2017 – che non riguardano quelle oggetto del capo di imputazione (come invece ritenuto erroneamente dal Tribunale di Marsala, in relazione al capo a, ma confermato dai ricorrenti) – e quelle demolite, oggetto dell’imputazione (cfr. pagina 5 punto 5). Né l’eventuale erronea qualificazione dei motivi di appello come contraddittori inciderebbe sulla ratio decidendi.

2. Manifestamente infondati sono il secondo ed il quarto motivo: la Corte di appello ha esplicitamente motivato sulla sussistenza del reato di cui al capo c), ex art. 181 comma 1-bis d.lgs. 42/2004, valutando non solo la realizzazione delle opere in zona vincolata, senza il preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ma anche l’irrilevanza della demolizione eseguita non spontaneamente dagli imputati.
2.1. La demolizione è stata effettuata a seguito dell’emissione dell’ingiunzione alla demolizione, il 22 febbraio 2016, da parte del comune di Campobello di Mazara.
Orbene, va rilevato che è contestato agli imputati il reato di cui all’art. 181 comma 1-bis d.lgs. 42/2004, poiché l’opera è stata realizzata in area sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori, per cui non opera la causa estintiva di cui al comma 1-quinquies.
2.2. Va ribadito il principio per cui la rimessione in pristino delle aree o degli immobili assoggettati a vincolo paesaggistico, spontaneamente eseguita dal trasgressore, per la sua natura eccezionale, estingue solo il reato previsto dal comma primo e non dal comma 1-bis, dell’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Sez. 3, n. 33542 del 19/06/2012, Cavaletto, Rv. 253139-01).
2.3. In ogni caso, anche ove si volesse ritenere che la condanna sia avvenuta per il comma 1 dell’art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, la decisione della Corte di appello è corretta.
Infatti, la speciale causa estintiva, prevista dall’art. 181 comma 1-quinquies d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – «La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1» – opera a condizione che l’autore dell’abuso si attivi spontaneamente alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio: cfr. in tal senso Sez. 3, n. 37822 del 12/06/2013, Battistelli, Rv. 25651801.
Come osservato dalla sentenza Battistelli, l’applicabilità della speciale causa estintiva di cui all’art. 181 comma 1-quinquies è subordinata al fatto che la rimessione in pristino da parte dell’autore dell’abuso sia spontanea e non eseguita su impulso dell’autorità amministrativa. 
L’estinzione si ha, pertanto, solo quando non sia stata ancora disposta d’ufficio dalla P.A.; è necessario cioè che l’autore dell’abuso si attivi spontaneamente alla rimessione in pristino e, quindi, prima che la P.A. la disponga, perché l’effetto premiale può realizzarsi solo in presenza di una condotta che anticipi l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio. 
Se si fosse voluto far riferimento solo alla sentenza di condanna non avrebbe avuto alcun senso richiamare il provvedimento disposto d’ufficio dalla P.A.; il legislatore ha voluto porre l’accento sul carattere (necessariamente) spontaneo della rimessione in pristino per farne derivare l’effetto estintivo del reato.

3. Manifestamente infondato è il terzo motivo relativo al reato ex art. 734 cod. pen.: come chiaramente rilevato dalla Corte di appello, la concessione in sanatoria non si riferisce alle opere oggetto dell’imputazione sicché gli effetti non sono minimamente invocabili nel processo.
Contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, vi è poi una esplicita motivazione da parte della Corte di appello sulla sussistenza del reato ex art. 734 cod. pen. per le dimensioni dell’opera, realizzata in sopraelevazione di altra abusiva, e non ancora condonata al momento della costruzione, in zona sottoposta a vincolo ambientale, a 500 metri dal mare.

Thanks to


ODV 231/2001 responsabilità amministrativa da reato

ODV 231/2001 responsabilità amministrativa da reato

Il D.Lgs. n. 231/2001 e il Sistema di Gestione

La norma, ormai ventennale, ha rivoluzionato il panorama normativo italiano perché ha dei tratti di interdisciplinarietà che permettono la collaborazione di diverse tipologie di professionisti per la sua corretta applicazione, con il risultato di avere una visione d’insieme della società e della realtà in cui la stessa opera.

Mira alla tutela dell’Azienda dai comportamenti non corretti di coloro che al suo interno agiscono per profitti personali.

Grazie all’adozione di un Modello 231, l’Azienda al suo interno decide di seguire direttive di contenuto etico e morale per poter operare nella trasparenza e nella legalità.

D’altronde anche l’art. 2086, comma II, c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 14/2019) impone a tutte le società di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

La creazione di un Sistema di Gestione è un insieme di regole, procedure e modalità: è strettamente legato alle caratteristiche dell’Impresa, all’attività svolta, ai processi produttivi che vengono utilizzati, al contesto in cui opera e agli interlocutori con cui si interfaccia.

Prevede la preventiva individuazione delle aree di rischio e la creazione di principi e procedure di controllo che possano tutelare l’Impresa dalla commissione dei reati.

Comprende l’adozione di un Codice Etico, a salvaguardia dei comportamenti da tenere, e di un conseguente sistema disciplinare e sanzionatorio.

Ogni Ente o Società che voglia garantire una corretta gestione aziendale, deve dotarsi di un proprio Modello ex D.Lgs n. 231/01 che comprenda una corretta mappatura delle aree dell’attività aziendale sensibili al rischio di commissione dei reati.

È necessaria una capillare attività di intervista al fine di analizzare i processi aziendali più a rischio e di conseguenza, adeguare ed aggiornare al meglio il Modello sulla realtà aziendale.

L’applicazione di tale Modello deve essere controllata mediante un Organismo di Vigilanza, autonomo ed indipendente, che possa vigilare sulla sua adeguatezza e sanzionare le violazioni e gli scostamenti dallo stesso.

Il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo

Il secondo strumento esimente previsto dal D.Lgs. 231/2001, è la dotazione da parte dell’Ente del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.

Potremmo definirlo come il “codice” di cui l’Ente si dota per evitare il rischio-reato, ovvero per escludere che dalle condotte poste in essere da apicali o subordinati, nell’interesse o a vantaggio dell’Ente, possa insorgere anche una responsabilità dell’Ente medesimo, con gravissime conseguenze in termini di sanzioni e misure interdittive, anche cautelari.

Il MOGC, che verrà redatto dallo studio dopo una scrupolosa analisi di risk assesment, sarà oggetto di costanti verifiche da parte dell’Organismo di Vigilanza, sia in termini di efficacia del Modello, sia in termini di revisione in caso di mutamento del business aziendale o di intervento legislativo che incida sul catalogo dei reati presupposto.

Le diverse aree di provenienza delle due Professioniste consentiranno di mappare ogni attività o settore dell’organizzazione aziendale, individuando una matrice dei rischi che costantemente vagliata con specifici audit dell’OdV, consentirà all’Ente di andare esente da ogni censura.

Perchè prevedere all’interno dell’Azienda la nomina di un OdV?

L’Azienda, con le previsioni della D.Lgs. n. 231/2001, viene attratta nella responsabilità per i reati commessi dalle persone che operano al suo interno a diverso titolo, se si dimostri che il reato è stato commesso per procurare un vantaggio all’Azienda stessa. L’Azienda, quindi,  potrebbe essere soggetta a diverse sanzioni, tra le quali anche alcune di tipo interdittivo che possono portare alla sospensione dell’attività aziendale. Non solo. Possono anche essere revocati benefici, possono essere confiscati  beni aziendali, o si può incorrere in pesanti sanzioni pecuniarie.

Alcune di tali sanzioni possono essere applicabili anche in una fase cautelare e portano all’arresto della continuità aziendale. Con un adeguato Modello 231, generalmente, l’Azienda è salva dalle sanzioni che intervengono in fase cautelare.

Sono pertanto necessarie le seguenti fasi:

  • Adozione e progettazione del Modello
  • Attuazione e messa in opera dello stesso
  • Controllo del Modello ad opera dell’ODV.


Possiamo intervenire nella Vostra Azienda sia nella fase di adozione e progettazione del Modello, nella attuazione e messa in opera dello stesso e nel controllo come come Organismo di Vigilanza.

Cosa è l’Organismo di Vigilanza

È la componente centrale del Modello organizzativo 231.

Può essere monocratico e interno, tuttavia la collegialità ed il fatto che i suoi componenti siano esterni all’Azienda darà maggiori garanzie sulle caratteristiche richieste dalla Legge:  l’autonomia, l’indipendenza, la professionalità e la continuità di azione.

l’Organismo di Vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, vigila sul funzionamento e l’osservanza del Modello di Gestione e ne cura  l’aggiornamento. È una unità organizzativa dell’impresa a servizio dell’organo amministrativo.

L’Organismo di Vigilanza non ha un potere di gestione dell’Impresa, ma di mero controllo interno.

L’OdV deve garantire

  • Indipendenza
  • Autonomia
  • Continuità di azione
  • Professionalità
  • Onorabilità

L’OdV può essere un organo esterno e collegiale, composto da tre membri.

È il nostro obiettivo mettere le nostre professionalità a servizio delle Aziende interessate e capire le reali esigenze per poter selezionare il terzo membro tra diversi professionisti con cui collaboriamo da anni.

Cosa fa l’Odv

  • Propone gli adattamenti e gli aggiornamenti necessari al Modello a seguito di mutamenti interni o esterni, di normative o dell’organizzazione societaria al fine di garantirne la massima efficacia per la corretta applicazione.
  • Vigila e controlla l’efficace attuazione del Modello stesso, tramite flussi informativi costanti e tracciati.
  • Gestisce e monitora la formazione dei destinatari per la comprensione e la corretta applicazione del Modello.
  • Garantisce una continuità di azione, per avere la massima efficacia sul controllo e la gestione del Modello.
  • Verifica che il Modello adottato dall’impresa sia efficiente ed efficace per la prevenzione dei reati previsti.
  • Rileva gli eventuali scostamenti dal Modello grazie all’analisi costante dei flussi informativi.
  • Gestisce le segnalazioni che arrivano dall’Azienda.
  • Tramite incontri verbalizzati tiene traccia del suo costante operato e predispone una relazione periodica per l’organo dirigente e per il Collegio Sindacale sull’attività di verifica e controllo.
  • L’indipendenza viene garantita rispetto a tutti gli organi aziendali, deve essere assicurato libero accesso a tutte le funzioni della società per gestire al meglio il corretto funzionamento del Modello.
  • L’OdV può avvalersi di tutti i consulenti esterni che ritenga possano essere utili alla realtà aziendale per l’adeguamento del Modello.

Perché scegliere lo Studio Penale Scialla per la redazione e gestione di un modello 231/2021 o lo svolgimento di incarico di ODV

Il D.Lgs. 231/2001 richiede che l’Organismo di Vigilanza sia formato da professionisti, scelti dai vertici aziendali, dopo un’attenta analisi delle loro capacità professionali ed esperienza sul campo.

Garantiamo un aggiornamento costante con master di specializzazione, nonché con i rispettivi percorsi professionali che, integrandosi vicendevolmente, consentono di offrire una consulenza che costituisca  un valore aggiunto per l’Ente.

Non un costo, ma un investimento, che garantirà l’Ente sia in termini economici che reputazionali.

Confisca diretta del denaro sul conto corrente e prova della sua derivazione da un titolo lecito: depositata la sentenza delle Sezioni Unite (42415/2021)

Confisca diretta del denaro sul conto corrente e prova della sua derivazione da un titolo lecito: depositata la sentenza delle Sezioni Unite (42415/2021)

Confisca conto corrente Sezioni Unite di Cassazione

Cassazione Penale, Sezioni Unite, 18 novembre 2021 (ud. 27 maggio 2021), n. 42415
Presidente Cassano, Relatore Mogini

Con ordinanza n. 7021/2021 era stata rimessa alle Sezioni unite la seguente questione di diritto: «se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito».

Con sentenza numero 42415, depositata il 18 novembre 2011, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l‘ablazione del denarocomunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione».

La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite è la seguente: “se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da titolo lecito”.

page1image995158064
page1image995158368
page1image995169120
page2image1367314480
page2image1367306080
page2image2407577664
page3image1386990864
page4image1385823456
page5image1385316528
page6image1385822480
page7image1385805248
page8image1385813664
page9image1385800656
page10image1385780368
page11image1385781216
page12image1385786304
page13image1385304400
page14image1385791232
page15image1385303184
page16image2426525488
page17image1385063104
page18image1385037280
page19image1385038448
page19image2426531312
page20image2426521168
page20image2426537216
page20image1385035408
page20image2426525744

La sospensione condizionale erroneamente concessa non è revocabile dal giudice dell’esecuzione

La sospensione condizionale erroneamente concessa non è revocabile dal giudice dell’esecuzione penale. Recependo un’importante pronuncia della Corte Costituzionale il giudice dell’esecuzione si è visto negare dalla Corte si Cassazione il diritto di revocare la concessione erronea di una sospensione condizionale della pena.

Nel caso di specie il Tribunale di Torre Annunziata, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva sollevato infatti questione di legittimità costituzionale dell’art. 168 c.p.p., al fine di vedersi attribuito il potere di revocare la sospensione condizionale erroneamente concessa all’imputato, la Corte Costituzionale adita ha chiarito come “il remittente”, ovvero il giudice dell’esecuzione, “mediante la dedotta questione di costituzionalità, vorrebbe in sostanza essere legittimato ad esercitare, nella sua qualità di giudice dell’esecuzione, un controllo sul contenuto di una sentenza passata in giudicato, correggendo un errore del giudice di cognizione asseritamente dovuto all’inconveniente di fatto del tardivo aggiornamento del casellario giudiziale” e che pertanto, osta all’intervento additivo richiesto “il principio dell’intangibilità del giudicato, in ossequio al quale la problematica dell’errore di fatto, in iudicando o in procedendo in cui sia incorso il giudice della cognizione in una sentenza divenuta irrevocabile, è estranea alla competenza del giudice dell’esecuzione”(cfr. sentenza n. 294/1995; n.28/1969; ordinanza n.413/1999). Analogamente anche nel caso di specie si ritiene che il Pubblico Ministero abbia errato nel presentare una tale richiesta di revoca al giudice dell’esecuzione, in quanto le questioni oggetto dell’istanza esorbiterebbero dalla competenza di questo giudice, in quanto andrebbero ad infierire sul giudicato.

Con l’ordinanza nr. 413/1999 della Corte Costituzionale si è chiaramente sancito il principio di diritto per cui è estraneo ai poteri del giudice dell’esecuzione la revoca della sospensione condizionale della pena concesso erroneamente per errori in diritto o fatto.

Ne consegue pertanto un importante conseguenza in termini pratici ovvero il principio dell’intangibilità della pronuncia, anche se erronea, che ha concesso il beneficio della sospensione condizionale anche laddove il beneficiario della stessa non ne risultava sostanzialmente meritevole.
Al passaggio in giudicato di quella decisione, contenente l’errore, consegue pertanto l’intangibilità del provvedimento di sospensione della pena anche se emesso in ragione delle lungaggini di aggiornamento del Casellario Nazionale.

conseguenze denuncia per ricettazione

Quali sono le conseguenze di una denuncia per Ricettazione ? Quali sono i rischi collegati ad un procedimento penale per Ricettazione ? Poiché tale reato è tra i più ricorrenti nelle aule dei Tribunali appare utile fornire delle delucidazioni.

E’ bene in primo luogo chiarire che il reato di Ricettazione punisce il comportamento del soggetto che acquisti o comunque riceva un bene che sia di provenienza delittuosa, senza tuttavia essere concorso nel reato presupposto.

Trattandosi di reato procedibile d’ufficio la prima conseguenza di una denuncia per Ricettazione sarà l’apertura di un procedimento penale, non essendo necessaria la proposizione di una querela per l’instaurazione del procedimento.

Al termine delle indagini preliminari il Pubblico Ministero, qualora ritenga che gli elementi di prova raccolti a carico dell’accusato siano idonei e sufficienti a portarlo in giudizio, potrà emettere il Decreto di citazione a giudizio.

Questo è l’atto con il quale il soggetto denunciato per Ricettazione sarà chiamato a rispondere del fatto in un processo che sarà celebrato davanti al Tribunale in composizione monocratica, così concretizzandosi un altro rischio della denuncia per Ricettazione: quello di subire un processo penale per tale fatto.

Dal punto di vista delle pene applicabili le conseguenze di una denuncia per Ricettazione sono una possibile condanna ad una sanzione che potrà variare da un minimo edittale di due anni di reclusione ad un massimo di otto anni di reclusione, oltre che una multa da Euro 516 ad Euro 10.329.

La pena potrà essere tuttavia aumentata quando il delitto da cui proviene il bene ricevuto sia la rapina, l’estorsione o il furto aggravato da particolari circostanze; nel caso in cui il fatto sia qualificabile come di lieve entità la pena applicabile sarà invece la reclusione fino a sei anni e la multa fino ad Euro 516.