Reati di atti persecutori e maltrattamenti in famiglia: come difendersi legalmente


I reati di atti persecutori (stalking) e maltrattamenti in famiglia sono tra i più gravi in ambito penale, poiché coinvolgono la sfera privata e possono avere conseguenze devastanti per le vittime. Il diritto penale italiano prevede una serie di norme severe per punire chi perpetra questi comportamenti, garantendo al tempo stesso strumenti di tutela per chi subisce tali violenze.

Cosa sono gli atti persecutori (stalking)?

Gli atti persecutori sono comportamenti molesti o minacciosi ripetuti nel tempo che causano alla vittima uno stato di ansia, paura o turbamento. Il reato di stalking è disciplinato dall’art. 612-bis del Codice Penale, che punisce chiunque con condotte reiterate:
– Minaccia o molestia,
– Provoca un fondato timore per l’incolumità propria o di un familiare,
– Causa un cambiamento radicale nelle abitudini di vita della vittima.

Maltrattamenti in famiglia: cosa prevede la legge?

I maltrattamenti in famiglia, disciplinati dall’art. 572 del Codice Penale, si verificano quando una persona viene sottoposta a violenze fisiche o psicologiche all’interno del contesto familiare o conviviale. Questo reato può includere:
– Violenze fisiche o aggressioni verbali,
– Controllo eccessivo e isolamento sociale,
– Abusi psicologici continui che compromettono la salute mentale della vittima.

Differenze tra stalking e maltrattamenti in famiglia

Anche se i due reati possono sembrare simili, hanno delle differenze fondamentali:
– Lo stalking può avvenire sia all’interno che all’esterno del contesto familiare e richiede un comportamento reiterato.
– I maltrattamenti in famiglia si verificano solo all’interno delle relazioni familiari o di convivenza e possono includere violenze di ogni tipo, anche episodiche.

Come difendersi da atti persecutori e maltrattamenti

Chi è vittima di stalking o maltrattamenti in famiglia** può rivolgersi a un **avvocato penalista esperto** per attivare misure legali di protezione, tra cui:
– Denuncia alle autorità: è fondamentale denunciare tempestivamente i comportamenti persecutori o violenti. La polizia può attivare misure di protezione immediate.
– Ordine di protezione: Il giudice può emettere un ordine di protezione, che vieta all’autore dei maltrattamenti o degli atti persecutori di avvicinarsi alla vittima o ai luoghi frequentati dalla stessa.
– Assistenza legale e psicologica**: Gli avvocati penalisti specializzati possono assistere le vittime sia dal punto di vista legale che psicologico, fornendo supporto per affrontare il trauma.

Pene previste dal Codice Penale

Le pene per questi reati sono severe:
– Per lo stalking, si va da sei mesi a cinque anni di reclusione, con aggravanti in caso di recidiva o se la vittima è un minore o una persona disabile.
– Per i maltrattamenti in famiglia, la pena può variare da due a sei anni di reclusione, ma può aumentare se il reato è commesso in presenza di minori o se si tratta di violenze gravi.

Conclusioni

Difendersi da atti persecutori e maltrattamenti in famiglia è un diritto fondamentale. Se ti trovi in una situazione del genere, rivolgiti a un avvocato penalista per una consulenza legale immediata. Uno studio legale esperto può aiutarti a ottenere giustizia e a mettere in sicurezza te e i tuoi cari.

Contatta un avvocato penalista per assistenza

Se sei vittima di stalking o maltrattamenti in famiglia, non esitare a contattare uno **studio legale penalista** per discutere la tua situazione. Un professionista esperto saprà consigliarti su come procedere per garantirti protezione e giustizia.

Avvocato penalista a Roma: quando rivolgersi e come scegliere il migliore


Se ti trovi nella Capitale e hai bisogno di assistenza legale in ambito penale, trovare un avvocato penalista a Roma può essere essenziale per garantire la tua difesa. Il diritto penale è un settore complesso, e avere al proprio fianco un professionista competente e specializzato può fare la differenza nel corso di un procedimento giudiziario.

### Quando è necessario un avvocato penalista a Roma?
La figura dell’avvocato penalista è fondamentale in tutte quelle situazioni in cui sei accusato di un reato o sei vittima di uno. Tra i casi più comuni in cui potresti avere bisogno di un avvocato penalista a Roma ci sono:
– Accuse di reati contro la persona**, come aggressione o violenza.
– Crimini contro il patrimonio**, come furto, rapina o frode.
– Reati legati alla criminalità organizzata** o al traffico di stupefacenti.
– Reati economici** o legati a frodi fiscali.

Come scegliere un buon avvocato penalista a Roma?
La scelta di un avvocato penalista a Roma deve essere fatta con attenzione, tenendo in considerazione diversi fattori:
1. Esperienza: Optare per un avvocato con esperienza documentata nel trattare casi simili al tuo è cruciale. Un legale che conosce bene il sistema giudiziario di Roma, le corti e i giudici, può offrirti un vantaggio.
2. Recensioni e feedback: Cercare feedback online, leggere recensioni e chiedere referenze a chi ha già avuto esperienza con il professionista possono essere elementi importanti nella tua decisione.
3. Specializzazione: Se il tuo caso riguarda un settore specifico del diritto penale, come ad esempio i reati economici o quelli contro la pubblica amministrazione, assicurati che l’avvocato abbia una preparazione adeguata in quel campo.

Perché scegliere uno studio legale penalista a Roma?
Roma, essendo una delle città più grandi d’Italia, offre un’ampia scelta di studi legali specializzati in diritto penale. Affidarsi a uno **studio legale penalista a Roma** con una lunga esperienza sul territorio è fondamentale per affrontare con successo qualsiasi tipo di controversia legale. Gli avvocati che operano nella Capitale hanno spesso una conoscenza approfondita del diritto penale locale e possono offrire un supporto più specifico rispetto a legali che operano in altre regioni.

### Contatta un avvocato penalista a Roma oggi
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Avvocato penalista: ruolo e competenza in ambito legale

Avvocato penalista: ruolo e competenze in ambito legale

Un avvocato penalista è un professionista specializzato nel diritto penale, il ramo del diritto che si occupa di reati e delle relative sanzioni. Questo tipo di avvocato assiste i propri clienti in tutte le fasi del processo penale, sia in qualità di difensore dell’imputato che di parte civile, rappresentando le vittime dei reati.
Quando è utile rivolgersi a un avvocato penalista?

Rivolgersi a un avvocato penalista è fondamentale quando si è coinvolti in procedimenti che riguardano reati di varia natura, come:
– Delitti contro la persona (es. omicidio, lesioni, minacce)
– Reati contro il patrimonio (furto, rapina, truffa)
– Criminalità economica (frode, riciclaggio, bancarotta)
– Reati informatici, sempre più diffusi nell’era digitale

Competenze e attività principali
Un avvocato penalista non si limita a rappresentare i propri clienti in tribunale. Le sue principali competenze includono:
-Consulenza legale preventiva: fornire chiarimenti su questioni penali prima che insorgano problematiche legali.
-Assistenza in fase di indagini preliminari**: supporto durante gli interrogatori, la raccolta di prove e la fase istruttoria.
-Difesa processuale: rappresentare l’imputato o la parte lesa durante il processo, presentando argomentazioni a favore o contro le accuse.

Perché scegliere un avvocato penalista esperto?
Affidarsi a un avvocato penalista esperto può fare la differenza in un processo penale. Un legale con anni di esperienza è in grado di analizzare a fondo le prove, formulare strategie di difesa efficaci e garantire il rispetto dei diritti del cliente.

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Le misure di prevenzione. Tipologie, disciplina e presupposti.

Le misure di prevenzione (introdotte nel nostro ordinamento dal Legislatore del 1931) sono provvedimenti afflittivi che vengono disposti dall’Autorità Giudiziaria indipendentemente dalla commissione di un delitto.

Questo aspetto è assolutamente peculiare (e, ad esempio, le distingue dalle misure di sicurezza che presuppongono la commissione di un reato e la condanna per lo stesso) ed ha alimentato i dubbi (sempre risolti positivamente dalla Corte Costituzionale) circa la legittimità costituzionale dei provvedimenti in parola che, benché grandemente penalizzanti, vengono subiti dai destinatari in difetto di una Sentenza di condanna (ovvero prima di essere ritenuto giuridicamente responsabile della commissione di un reato).

La logica e lo scopo delle misure di prevenzione è quello, appunto, di prevenire la commissione di un reato da parte di soggetti ritenuti “a rischio” per la sicurezza pubblica preso atto del loro stile di vita.

Nel nostro ordinamento repubblicano le misure di prevenzione sono state introdotte dalla Legge 27 dicembre 1956 n. 1423 successivamente modificata ed integrata da ripetuti interventi del Legislatore l’ultimo dei quali attuato con il Decreto Legislativo n. 159 del 2011.

Le misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento sono applicabili:

1. a coloro che in base ad elementi di atto debbano ritenersi dediti a traffici delittuosi;

2. a coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi sulla base di elementi di fatto che vivono abitualmente anche in parte con i proventi di attività delittuosi;

3. coloro che per il loro comportamento, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Come per le misure di sicurezza, presupposto delle misure di prevenzione è la pericolosità sociale del soggetto.

La differenza principale è che nel caso delle misure di prevenzione – come detto – manca l’indicazione regina della predetta pericolosità ovvero la commissione di un reato.

Per le misure di prevenzione la pericolosità deve essere desunta in tutti i casi da elementi oggettivi (gli elementi di fatto richiamati dalla norma) che potranno consistere nei precedenti penali, nelle denunce per gravi reati nei confronti del soggetto, nei procedimenti penali ancora in corso, le frequentazioni con pregiudicati etc..

La pericolosità deve essere attuale ovvero rappresentare un dato di fatto desumibile ed esistente nel momento in cui è effettuata la valutazione dei requisiti per l’applicazione.

Le diverse tipologie delle misure di prevenzione.

Le misure di prevenzione sono piuttosto numerose anche perché sono state aumentate dal Legislatore con successivi interventi in materia di lotta al terrorismo, al traffico degli stupefacenti ed alla criminalità organizzata.
Vediamo le misure “tipiche”:

Il foglio di via obbligatorio
La sorveglianza speciale
Obbligo di soggiorno e divieto di soggiorno
Le misure di prevenzione finalizzate al contrasto della criminalità organizzata. Personali e patrimoniali
Le misure di prevenzione per la lotta al terrorismo
Le misure di prevenzione per la lotta al traffico di stupefacenti
Nel 1990 il Legislatore ha previsto che le misure di prevenzione patrimoniale siano applicabili anche a coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni per delinquere finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti.

Secondo l’art. 10 del D.L.vo n. 159 il provvedimento con il quale il Tribunale applica la misura di prevenzione è impugnabile entro dieci giorni (dalla notifica) con ricorso alla Corte di Appello competente. Il ricorso NON ha effetto sospensivo (ovvero la misura è applicata ed eseguita fino a quando non interviene eventualmente una decisione della Corte che riforma il decreto applicativo) e la Corte deve provvedere (ma si tratta di un termine non perentorio) entro trenta giorni dal deposito dell’impugnazione con decreto motivato (ricorribile per Cassazione).

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Lo Studio dell’Avv. Scialla garantisce la migliore difesa possibile per il soggetto nei cui confronti viene proposta una misura di prevenzione.

Si tratta – come illustrato – di provvedimenti grandemente afflittivi per il soggetto per i quali, giustamente, è prevista la possibilità di un contraddittorio con la Pubblica Accusa nel corso del quale l’interessato deve e può svolgere ogni argomentazione in suo favore.

Per qualsiasi informazione vi riportiamo il Link alla pagina dei contatti, dove potete trovare i riferimenti dei numeri telefonici, le email

Continuazione tra pena italiana e straniera

L’ordinamento esprime il principio secondo il quale la pena che ha titolo nel medesimo provvedimento giurisdizionale non può essere eseguita due volte, neppure in diversi Stati.
L’avvenuta espiazione, in tutto o in parte, all’estero di pena avente titolo in una decisione dell’autorità giudiziaria italiana va computata ai fini della esecuzione della relativa condanna, a prescindere dalla legittimità o meno del provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera che ha di- sposto l’esecuzione. Di conseguenza, nel caso in cui il condannato dedu- ca l’avvenuta espiazione all’estero della pena, il giudice dell’esecuzione è tenuto ad accertare, anche mediante richieste di informazioni all’autori- tà giudiziaria straniera, la storicità del dato dedotto dalla parte, senza poter sindacare la legittimità del provvedimento straniero che aveva di- sposto l’esecuzione

Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 30 marzo – 29 aprile 2021, n. 16462
Presidente Di Tomassi – Relatore Bianchi
Ritenuto in fatto

  1. Con istanza depositata in data 23.1.2020 S.L. , tramite il difensore di fiducia, aveva chiesto al Tribunale di Pavia l’annullamento dell’ordine di esecuzione emesso in data 8.1.2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia nella parte in cui aveva determinato la pena da espiare considerando anche la pena inflitta con sentenza n. 344 pro- nunciata in data 18.7.2012 dal Tribunale di Busto Arsizio (erroneamente, più volte, indicata in atti come sentenza pronunciata in data 26.10.2011), pena che, invece, era stata già scontata.
    La parte esponeva:
  • che con l’indicata sentenza, divenuta irrevocabile in data 7.10.2015, era stato condannato alla pena di anni due, mesi due e giorni 20 di reclusio- ne e di mesi uno di arresto, e di aver sofferto, per questo titolo, custodia cautelare dal 5.3.2012 al 14.9.2012 (mesi sei e giorni undici);
  • di essere stato tratto in arresto in data 28.11.2014 a seguito dell’emissio- ne di ordine di esecuzione in data 27.5.2013 relativo all’espiazione della pena di anni uno e mesi quattro di reclusione inflitta con sentenze pro- nunciate, in data 25.3.2009 e 15.4.2009, dal Tribunale di Milano;
  • che erano stati emessi nuovi ordini di esecuzione in relazione alla so- pravvenienza di nuove condanne, e in particolare di quelle pronunciate, in data 18.7.2012, dal Tribunale di Busto Arsizio – divenuta irrevocabile in data 7.10.2015 -, in data 13.2.2015 dalla Corte di appello di Milano – dive- nuta irrevocabile in data 2.11.2016 -, e in data 17.1.2017 dal Tribunale di Pavia divenuta irrevocabile in data 12.5.2017 -, e quindi era stato rideter- minato, di volta in volta, il cumulo delle pene da eseguire;
  • di essere stato, infine, rimesso in libertà per fine pena in data

23.10.2018.
Peraltro, l’istante, nel periodo tra il 23.10.2012 e il 24.6.2014, era stato de- tenuto in Romania.
In particolare, l’autorità giudiziaria rumena (Tribunale di Targu Jiu) ave- va provveduto a unificare nella continuazione diverse condanne pro- nunciate nei confronti dello S. , fra le quali anche la condanna pronun- ciata in data 18.7.2012 dal Tribunale di Busto Arsizio, e la relativa pena complessiva di anni tre di reclusione era stata espiata dallo S. in Roma- nia.
Di conseguenza, i successivi ordini di esecuzioni emessi dalla autorità giudiziaria italiana, di cui l’ultimo era stato quello emesso in data 8.1.2018 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, nella parte in cui avevano posto in esecuzione la pena di anni uno, mesi otto e giorni nove di reclusione quale residuo di quella inflitta con sen- tenza 18.7.2012 del Tribunale di Busto Arsizio, erano illegittimi, essendo quella pena precedentemente espiata in Romania.
Infine, la parte deduceva di avere interesse all’annullamento richiesto al fine di ottenere indennizzo a titolo di riparazione per ingiusta detenzione.

  1. Con ordinanza depositata in data 25.9.2020 il Tribunale di Pavia, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la istanza proposta da S.L. , osser- vando che il provvedimento del Tribunale di Targu Jiu, in data 6.9.2013, aveva unificato nella continuazione, rideterminando in melius la pena complessiva, diverse condanne tra le quali anche quella n. 344/2012 del Tribunale di Busto Arsizio, all’epoca non ancora divenuta irrevocabile.
    Il provvedimento rumeno, dunque, era illegittimo in quanto il riconosci- mento di sentenze straniere al fine dell’esecuzione nello Stato della rela- tiva condanna è consentito solo con riguardo a sentenze divenute irrevocabili.
    Di conseguenza, illegittima era stata anche la esecuzione penale sofferta dallo S. in Romania nella parte riferibile alla condanna italiana, all’epoca
  2. non ancora definitiva, mentre legittima era stata la successiva esecuzio- ne ordinata dall’autorità giudiziaria italiana.
  3. Infine, non aveva rilievo la documentazione, depositata dalla difesa, at- testante le richieste inviate, nell’anno 2016, dalla Procura della Repub- blica presso il Tribunale di Busto Arsizio all’autorità giudiziaria rumena per il riconoscimento, ai fini dell’esecuzione, di condanne italiane, fra le quali anche quella n. 344/2012 del Tribunale di Busto Arsizio.
  4. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di S.L. , chiedendo l’an- nullamento dell’ordinanza impugnata.
    Con l’unico motivo, riproposti i dati della vicenda processuale descritti nell’originaria istanza, viene denunciata la violazione dell’art. 733 c.p.p..
    Le considerazioni sulla illegittimità del provvedimento con il quale l’au- torità giudiziaria rumena aveva unificato nel vincolo della continuazio- ne diverse condanne, fra le quali anche quella del Tribunale di Busto Ar- sizio, non erano rilevanti, dato che quel provvedimento era divenuto de- finitivo ed era stato anche messo in esecuzione.
  5. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando che la normativa non consentiva il riconoscimento della continuazione con reati giudicati da sentenza straniera e che il riconoscimento delle sentenze straniere ai fini dell’esecuzione presuppone la irrevocabilità della sentenza oggetto del riconoscimento.
    Considerato in diritto
    Il ricorso è fondato e va perciò pronunciato annullamento, con rinvio, dell’ordinanza impugnata.
    Il giudice dell’esecuzione, dato atto che effettivamente l’autorità giudi- ziaria rumena aveva, con provvedimento in data 6.9.2013 del Tribunale di Targu Jiu, riconosciuto la continuazione tra diversi reati giudicati con sentenze dell’autorità giudiziaria rumena e anche dalla sentenza n.
  6. 344/2012 del Tribunale di Busto Arsizio e quindi rideterminato la pena complessiva, ha rilevato che detto provvedimento era illegittimo, dato che la condanna italiana, all’epoca, non era ancora definitiva, e quindi illegittimo era il conseguente provvedimento esecutivo nella parte in cui aveva disposto l’esecuzione di pena avente titolo nella sentenza italiana non ancora irrevocabile.
  7. Nella presente vicenda processuale vengono in rilievo due provvedimen- ti giurisdizionali, l’uno pronunciato dal Tribunale di Busto Arsizio e l’al- tro dal Tribunale di Targu Jiu, autorità giudiziarie di due Stati dell’Unio- ne Europea, relativi, a quanto prospettato dalla parte istante, al medesi- mo fatto, sia pure sotto diversi profili, avendo la sentenza italiana pro- nunciato sulla responsabilità e quella rumena sulla continuazione con altri reati.
  8. L’ordinamento, nella materia, ha visto una significativa evoluzione, dalla impostazione originaria, espressa dall’art. 12 c.p., che limitava i casi in cui una sentenza straniera poteva essere riconosciuta nello Stato italia- no, alla possibilità, riconosciuta dalla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate firma a Strasburgo il 21 marzo 1983, che il cit- tadino di uno Stato aderente alla convenzione che sia stato condannato in uno Stato diverso possa eseguire la condanna nello Stato di origine (L. 3 luglio 1989, n. 257), sino alla disciplina del principio del reciproco rico- noscimento, nell’ambito dell’Unione Europea, delle sentenze penali ai fini della loro esecuzione, di cui alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27.11.2008 attuata in Italia con D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161.
  9. Il codice di rito (art. 738 c.p.p.) prevede espressamente che nel caso di ri- conoscimento in Italia di sentenza straniera ai fini dell’esecuzione il provvedimento che determina la pena da eseguire deve tener conto della pena espiata nello Stato di condanna, e, d’altra parte, nel caso di richie- sta di esecuzione all’estero di condanna pronunciata nello Stato (art. 746 c.p.p.) “La pena non può più essere eseguita nello Stato, quando, secondo le leggi dello Stato richiesto, essa è stata interamente espiata”.
  10. In ambito comunitario vige la norma (D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 16) che “La pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini dell’esecuzione”.
  11. Anche con riguardo alla custodia cautelare vige il principio del computo, ai fini della decorrenza dei relativi termini, del periodo di custodia sof- ferto all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione (art. 722 c.p.p.) o in esecuzione di mandato di arresto Europeo (L. n. 69 del 2005, art. 33).
  12. Dunque, l’ordinamento esprime il principio secondo il quale la pena che ha titolo nel medesimo provvedimento giurisdizionale non può essere eseguita due volte, neppure in diversi Stati.
  13. L’ordinanza impugnata ha vagliato la legittimità del provvedimento del Tribunale di Targu Jiu, ritenendo che non lo fosse e che, di conseguenza, fosse stato legittimo il successivo provvedimento esecutivo della autori- tà giudiziaria italiana.
  14. Ora, nel caso in esame la prospettazione della parte è finalizzata unica- mente ad ottenere un accertamento dichiarativo della illegittimità, tota- le o parziale, dell’ordine di esecuzione emesso in data 8.1.2018 dal Procu- ratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia in quanto relativo al- l’esecuzione di una pena già espiata.
  15. Dunque, non ha rilievo la valutazione di legittimità del provvedimento giurisdizionale, nella specie quello della autorità giudiziaria rumena, che aveva, secondo la tesi del ricorrente, determinato la prima esecuzio- ne della pena, bensì unicamente il dato di fatto se l’esecuzione attivata dalla autorità giudiziaria italiana fosse relativa, anche solo in parte, a pena già espiata in Romania.
  16. Il principio del ne bis in idem con riguardo all’esecuzione penale consi- dera unicamente il dato storico dell’avvenuta esecuzione penale con ri- ferimento a un determinato titolo esecutivo, e non è condizionato dalla
  17. legittimità o meno del relativo provvedimento esecutivo.
  18. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni, ha evidenziato, tra i profi- li di illegittimità del provvedimento della autorità giudiziaria rumena, il fatto che fosse stata riconosciuta la continuazione tra reati giudicati in Stati diversi, con conseguente rideterminazione in melius della pena in- flitta dalla sentenza straniera.
  19. Tale rilievo, che il collegio non considera decisivo in quanto comunque relativo ad un profilo di legittimità del provvedimento straniero che non può essere in questa sede sindacato, evidenzia la complessità della valu- tazione che dovrà essere compiuta al fine di comprendere quale porzio- ne di pena, della originaria condanna inflitta dal Tribunale di Busto Ar- sizio, il Tribunale di Targu Jiu aveva posto in esecuzione ed era stata, poi, effettivamente espiata in Romania.
  20. Va chiarito, infatti, che, comunque, il provvedimento straniero – nel caso di specie, di riconoscimento della continuazione – non è efficace nell’or- dinamento italiano e quindi non incide sul giudicato “italiano” rideter- minando la pena inflitta, ma va considerato al fine di accertare se e in quale misura il condannato ha espiato all’estero pena che ha titolo nella condanna italiana.
  21. Il collegio, dunque, ritiene che debba essere affermato il principio secon- do cui “L’avvenuta espiazione, in tutto o in parte, all’estero di pena avente titolo in una decisione dell’autorità giudiziaria italiana va computata ai fini della esecuzione della relativa condanna, a prescindere dalla legitti- mità o meno del provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera che ha disposto l’esecuzione.
  22. Di conseguenza, nel caso in cui il condannato deduca l’avvenuta espiazio- ne all’estero della pena, il giudice dell’esecuzione è tenuto ad accertare, anche mediante richieste di informazioni all’autorità giudiziaria stranie- ra, la storicità del dato dedotto dalla parte, senza poter sindacare la legit- timità del provvedimento straniero che aveva disposto l’esecuzione”.
  23. Dunque, va pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Pavia.
  24. In sede di rinvio, il giudice dell’esecuzione dovrà, applicando il principio di diritto affermato, accertare, per il tramite del Ministero della Giusti- zia, se, e in quale porzione, S.L. ha espiato in Romania la pena relativa alla condanna pronunciata in data 18.7.2012 dal Tribunale di Busto Arsi- zio, divenuta irrevocabile il 7.10.2015.
  25. P.Q.M.
  26. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Pavia.
  27. https://canestrinilex.com/risorse/pena-rideterminata-allestero-e-scontata-vincola-giudice-italiano-cass-1646221