Con la sentenza n. 2618 del 21 Gennaio 2016 la VI sezione penale della Cassazione affronta la questione della coltivazione delle sostanze stupefacenti (Art. 73, comma quinto, del D.P.R. n. 309 del 1990) ed il principio di offensività.

La Corte d’Appello di Cagliari aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato sulla base di alcuni semplici elementi: i) la conformità della pianta al tipo botanico previsto dalla legge; ii) la sua attitudine a giungere a maturazione; iii) la capacità di di produrre sostanza stupefacente.

Come è facile constatare si tratta di un orientamento piuttosto rigido e restrittivo, che anticipa molto la soglia di punibilità del reato.

E’ pur vero che il delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti è un reato di pericolo presunto a consumazione anticipata, ma precisa la Suprema Corte che deve essere comunque bilanciato con il principio di offensività.

In tema di sostanze stuperfacenti, quindi, è necessario verificare in concreto l’offensività della condotta di coltivazione attraverso l’accertamento dell’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile, idoneo a ledere il bene giuridico tutelato, la salute.

Con riferimetno alla coltivazione, pertanto, è necessario accertare la potenziale lesività delle piante, valutata al momento dell’accertamento del fatto e non alla futura ed aventuale capacità della pianta di mettere in pericolo il bene tutelato.

Nel caso specifico, le piante sequestrate non avevano portata offensiva poiché prive di effetto drogante, infatti si trattava di piccoli ed insignificanti germogli contenuti in bicchierini di caffè non giunti a maturazione.