coronavirus
Le regole imposte dal Governo richiamano al rispetto di uno dei più supremi valori, sia umani che costituzionali: la salute.

Il rispetto delle misure imposte appare, anzitutto, una faccenda etica, coinvolgendo la salvaguardia sia della propria persona che degli altri consociati, in considerazione del bene che potrebbe risultarne compromesso. Ma se la coscienza non basta entra in campo la legge con pene severissime: infatti all’imputazione genericamente richiamata dal DPCM (art. 650 c.p.) se ne possono sommare ulteriori.

In soli sei giorni oltre 26mila denunce.
Sono migliaia, in pochi giorni, in tutta la penisola, le persone denunciate per aver violato le prescrizioni dei Decreti governativi finalizzate al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, molte delle quali sono state sorprese a transitare in strada senza valida giustificazione: tra l’11 ed il 15 marzo su 665.480 controllati, 26.954 sono i denunciati ex art. 650 c.p., 662 ex art. 495 e 496 c.p. (rispettivamente, Falsa attestazione o dichiarazione a P.U. e False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). A questi numeri si aggiungono 317.951 esercizi commerciali controllati, di cui 1.102 titolari denunciati ex art. 650 c.p.

Chi contravviene alle misure del DPCM
Il DPCM 8 marzo 2020, il Decreto Legge n. 9/2020 e il Decreto Legge n. 11/2020 prevedono, per le violazioni delle misure in essi contenute, l’imputazione per il reato contravvenzionale ex art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità), che sanziona con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro chi trasgredisce alle norme contenute nei decreti che proibiscono di spostarsi senza motivo.

Ad esempio:

più passeggeri (non conviventi) nella stessa auto non rispettano la distanza minima di un metro,
un guidatore e un passeggero non conviventi viaggiano sulla stessa moto, non essendo materialmente possibile la distanza interpersonale di un metro,
chi svolge attività sportiva o motoria all’aperto (anche in bicicletta) senza osservare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro,
chi non “comprova” (quindi, non è in grado di dimostrare) che sta andando o tornando dal lavoro, oppure che sta si spostando per ragioni di salute o altre necessità.
Chi rende autocertificazione fasulla o mendace
Chi attesta in modo non veritiero una delle tre cause che permettono di spostarsi (motivi di salute, esigenze lavorative, altri stati di necessità) sarà denunciato per falsa attestazione a un pubblico ufficiale, così rischiando da uno a sei anni di reclusione. È anche previsto l’arresto facoltativo in flagranza.

I pubblici ufficiali che non denunciano i reati
Per i reati procedibili d’ufficio, come quello riguardante la falsa attestazione di una delle tre cause che consentono di muoversi, chiunque ha facoltà di segnalare le ipotesi di cui sia venuto e, per l’effetto far innescare il procedimento penale.

Tutti i pubblici ufficiali (appartenenti alle forze di polizia e armate, ai vigili del fuoco ed urbani, i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, i notai, i medici ospedalieri) sono obbligati a denunciare i reati procedibili d’ufficio di cui giungano a conoscenza, altrimenti rischiano loro stessi penalmente fino a un anno di reclusione (art. 361 c.p., recante “Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”).

Chi ha sintomi e non si mette in quarantena
Ogni giorno i mass media elencano i sintomi caratteristici del Covid-19 (tosse, febbre, affanno, ecc.). Chi presenta tali sintomi deve avvertire le Autorità sanitarie (telefonando ai numeri dedicati all’emergenza epidemiologica) e mettersi in quarantena.

I DPCM stabiliscono il divieto di uscire di casa per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5°, in caso contrario rischia, oltre all’imputazione per violazione dei provvedimenti dell’autorità, l’imputazione per lesioni personali volontarie, nella forma consumata o tentata, come pure l’omicidio doloso.

Più in dettaglio, se la condotta, sorretta dal dolo eventuale, e quindi tramite l’accettazione del rischio di contagiare altri, cagioni lesioni o addirittura la morte, l’imputazione si eleva a lesioni personali e fino all’omicidio doloso. Identica pena si applica a chi ha avuto contatti con persone positive al virus e prosegue ad avere rapporti sociali, oppure a lavorare con altri individui senza adottare precauzioni o informarle.

>> Leggi anche: Coronavirus, quarantena (contumacia): cos’è e cosa si rischia

Chi nasconde di essere positivo
La fattispecie è stata già ampliamente elaborata dalla giurisprudenza per i malati di HIV che, nella consapevolezza della contagiosità della patologia di cui sono portatori, e quindi con intenzione (dolo diretto) non adottano le necessarie cautele per evitare il contagio.

Similmente, chi è consapevole di avere il coronavirus ma non lo dichiara, contravvenendo alle regole di isolamento domiciliare e quarantena, oltre all’imputazione ex art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità), rischia l’imputazione di lesioni personali e di omicidio volontario, anche solo nella forma tentata.

Più precisamente, qualora dolosamente si ponga in contatto con altri soggetti, e a causa di tale condotta ne provochi la morte, rischia le severissime pene (fino a 21 anni di reclusione) per l’omicidio volontario